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Apprendimento e distanziamento sociale

L’impatto del COVID‑19 sulla formazione


di Leonardo Chesi






Il contesto


A giugno del 2019 – ben prima dell’abbattersi della pandemia da SARS‑CoV‑2 – il 20% della popolazione più ricca dell’Italia deteneva quasi il 70% della ricchezza nazionale, mentre il 60% più povero appena il 13,3%.[1] Nei vent’anni trascorsi dall’inizio del nuovo millennio – come evidenzia il Global wealth report del Research Institute di Credit Suisse – le quote di ricchezza nazionale netta detenute dal 10% più ricco dei nostri connazionali e dalla metà più povera della popolazione italiana hanno mostrato un andamento divergente. La quota di ricchezza detenuta dal decile più alto è cresciuta del 7,6%, mentre la quota della metà più povera degli italiani è lentamente e costantemente scesa (ad eccezione di un lieve incremento negli ultimi anni, prima del Covid‑19), riducendosi complessivamente negli ultimi 20 anni del 36,6%.[2] Un’indagine della Banca d’Italia sulle famiglie italiane svolta tra aprile e maggio 2020, quindi durante il primo lockdown, oltre la metà degli intervistati dichiarava di aver subito una contrazione nel reddito familiare. Sempre nella stessa ricerca, il 30% dei lavoratori indipendenti dichiarava di non avere risorse liquide sufficienti ad affrontare le spese per più di tre mesi.[3]

Riuscire a determinare la ricchezza individuale è importante perché è connessa con la capacità dell’individuo nell’investire sul proprio futuro. Le condizioni economiche condizionano le opportunità d’istruzione, facilita l’accesso al credito, offre la possibilità di rifiutare condizioni di lavoro inique, garantisce la libertà di assumere rischi per realizzare progetti imprenditoriali.

Lo storico austriaco Walter Scheidel, nel tentativo di cogliere le motivazioni che hanno portato nelle varie epoche storiche ad una riduzione delle diseguaglianze, conclude che solo i grandi choc derivanti dalle epidemie, dalle catastrofi, dalle guerre e dalle rivoluzioni si dimostrano in grado di ridurre la disuguaglianza.[4] Per quante suggestioni possano indurre le conclusioni cui è arrivato lo storico austriaco, va specificato che – ad esempio – la peste nera del xiv secolo, secondo alcuni calcoli, colpì grossomodo un terzo della popolazione europea, mentre il COVID‑19 ha generato oltre 2 milioni di morti su 500 milioni di europei. Fortunatamente gli effetti sulla mortalità delle due pandemie sono sostanzialmente differenti.

Poiché – a conferma delle teorie di Scheidel – l’impatto della pandemia non sarà così letale, gli effetti livellatori non si faranno sentire, anzi si potranno attendere effetti che enfatizzeranno le sperequazioni. In questa direzione vanno tutte le analisi e gli scenari elaborati dai vari centri di ricerca.[5]


L’impatto della pandemia sull’istruzione e sulla formazione


Per le organizzazioni che a vario titolo erogano servizi educativi e supportano gli utenti nei percorsi formativi, la vulnerabilità educativa si è fortemente acuita con la pandemia. Le disuguaglianze di istruzione si sono ampliate. L’accesso e la qualità della didattica a distanza sono fortemente condizionati dalla disponibilità di strumentazione e connessione alla rete Internet, dal possesso di adeguate competenze digitali da parte delle famiglie e dei docenti, da spazi adeguati da cui seguire le lezioni.

Mentre sulla didattica a distanza (DAD) è cominciata a fiorire una congerie di letteratura e indagini, altrettanto non può dirsi sulla formazione a distanza (FAD), ma le problematiche, sostanzialmente, si possono dire analoghe.

Un recente studio OCSE mostra come l’Italia occupi posti di coda per dotazioni informatiche e connessioni Internet. Anche il corpo docente risulta essere poco formato nell’utilizzo delle TIC (tecnologie dell’informazione) negli schemi didattici.[6]

Riprendendo il concetto di decoupling e loose coupling elaborato da Orton e Weick,[7] Orazio Giancola e Leonardo Piromalli lo applicano ai tessuti organizzativi delle istituzioni educative (spazio formale) e le pratiche quotidiane del corpo docente (mondo reale).

Gli autori individuano tre sfasature. La prima riguarda le indicazioni ministeriali, rivelandosi vaghe e poco efficaci


producendo una costruzione retorica generale sulla digitalizzazione delle pratiche di insegnamento che non ha sempre avuto un riscontro nelle pratiche reali, caratterizzate piuttosto da una forte eterogeneità e diversificazione, con accelerazioni e rallentamenti legati alle infrastrutture territoriali, alle dotazioni – istituzionali e familiari/individuali –, alla forza e alla vision delle leadership educative locali, alla reattività del corpo docente, etc.[8]


La seconda sfasatura riguarda le piattaforme digitali e i rapporti tra pubblico e privato. Su questi aspetti gli autori riprendo la riflessione fatta da José Van Dijck, Thomas Poell e Martijn De Waal nel volume Platform society. Valori pubblici e società connessa.[9] I tre autori analizzano il mondo connettivo in cui le piattaforme sono penetrate nel cuore delle società, sconvolgendo i mercati e le relazioni di lavoro, aggirando le istituzioni, trasformando le pratiche sociali e civiche e influenzando i processi democratici. Esistendo nel mondo education italiano una situazione estremamente variegata – da istituzioni che si sono dotate di una piattaforma di e‑learning, ad altre dove non sono affatto orientate alla fruizione dei corsi in modalità online – per il futuro si potrebbe ipotizzare un aumento delle immatricolazioni alle università telematiche e una speculare riduzione in quelle in presenza o blended. In questo senso l’utilizzo delle piattaforme non sarebbe neutro: potrebbe portare a una situazione di “quasi mercato” e di pluralizzazione degli attori nella sfera dell’istruzione terziaria. In ambito tecnico possiamo assistere, ad esempio, al lancio del Google Career Certificate dell’agosto 2020, con avvio dei corsi previsto a ottobre.[10]

Secondo Giancola e Piromalli, la terza sfasatura riguarda i docenti e le pratiche della FAD. La scuola italiana sconta una scarsa esperienza con la DAD e il corpo docente non la considera una pratica normale. Spesso il lavoro del docente è consistito nel trasportare modelli trasmissivi dall’aula all’online, senza alcuna variazione e riflessione sulla metodologia.

Paolo Landri descrive tre diverse tipologie di atteggiamenti in cui si è mosso il corpo docente. Gli stiliti, ovvero, coloro i quali «pensano alla DAD (ed al digitale più in generale) come ad un simulacro della vera scuola, delineando una passata età dell’oro composta di libri, discipline e corpi in presenza»; gli allineati, quelli che «vedono nella DAD una finestra di opportunità per estendere in modo massiccio le tecnologie digitali ed un mix di politiche per la riforma dei sistemi educativi che fa proprie le ricette del New Public Management (la leadership, l’accountability e la competizione come principi regolatori)»; in fine, l’autore individua la categoria degli gli attivisti dal basso: «un vero e proprio movimento di insegnanti, dirigenti, scuole e università che si muovono in modo pragmatico, scoprendo soluzioni a portata di mano, facendo degli errori ed adattandosi alle opportunità tecniche che sono disponibili».[11]

A conclusioni simili giunge anche lo studio condotto da Federica Ferretti, Agnese Del Zozzo e George Santi sulla didattica della matematica a distanza, secondo i quali si sono delineate due forme di resilienza da parte dei docenti: una arroccativa, in attesa di un rispristino alla normalità e il ripristino delle condizioni didattiche pre‑COVID, l’altra evolutiva, pronta ad accogliere le nuove opportunità.[12]


La pandemia e la qualità nella formazione a distanza


Un’indagine sulla DAD interessante – soprattutto per l’originalità nello scegliere il punto di vista degli studenti – è quella condotta da Davide Di Palma e Patrizia Belfiore. La loro indagine ha coinvolto un migliaio di studenti della scuola secondaria superiore. Un primo dato che colpisce è che oltre un quarto degli intervistati dichiara di non avere gli strumenti necessari, percentuale che aumenta a meno di uno su due di quelli che in famiglia hanno una dotazione adeguata a permettere lo svolgimento delle proprie attività contemporaneamente a più membri della famiglia.[13]

In coerenza con gli studi citati precedentemente, oltre un terzo degli studenti giudica non adeguata la preparazione dei docenti per poter affrontare la DAD.[14]

A mio avviso, occorre valutare anche la preparazione degli studenti ad utilizzare gli strumenti tecnologici, soprattutto se si tiene presente che – come evidenziato dalla ricerca stessa – oltre un quarto non li possiede. Ciò diventa ancora più stridente nella formazione degli adulti, ma qui – purtroppo – mi affido più all’esperienza diretta per una mancanza nella letteratura scientifica.

Un altro elemento su cui voglio portare la riflessione è relativo alla valutazione degli apprendimenti. Su questo tema mi viene da citare l’articolo realizzato a più mani da Loredana Perla e altri.[15] L’indagine, che ha coinvolto oltre settecento docenti dell’istruzione terziaria, ha evidenziato le metamorfosi intervenute nell’azione di mediazione e di valutazione portando come centrale la professionalità del docente quale elemento chiave d’innovazione della didattica.

Il cambio di paradigma non è la modalità di fruizione della didattica, bensì la progettazione didattica per competenze. La DAD o la FAD che sia, rimangono semplicemente degli strumenti a disposizione nella cassetta degli strumenti del docente.

La formazione non in presenza ha messo in evidenza la difficoltà da parte dei vari attori – docenti, esperti di settore ed enti di formazione – di sviluppare dei processi valutativi adeguati e coerenti con la didattica per competenze. Oltre a adeguare la preparazione degli attori della formazione all’utilizzo degli strumenti per progettare la formazione non in presenza, occorre dotarli di adeguati strumenti per valutare il successo formativo.

Qui – a mio avviso – sta la sfida da cogliere e su cui investire nel prossimo futuro e che è stata evidenziata in maniera forzata dall’esperienza pandemica.

[1] Oxfam Italia, Disuguitalia. Dati e considerazioni sulla disuguaglianza socio‑economica in Italia. Briefing di accompagnamento del rapporto Oxfam “Il virus della disuguaglianza” a cura di Oxfam Italia, a cura di Mikhail Maslennikov, Oxfama Italia, 2021. [2] Research Institute Credit Suisse, Global wealth report 2019, ottobre 2019, Credit Suisse, <https://www.credit-suisse.com/media/assets/corporate/docs/about-us/research/publications/global-wealth-report-2019-en.pdf>. Per la precisione, l’indagine si ferma al primo semestre del 2019. [3] A. Neri‑F. Zanichelli, Principali risultati dell’indagine straordinaria sulle famiglie italiane nel 2020, «Note Covid‑19», 26 giugno 2020, Banca d’Italia, <https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/note-covid-19/2020/Evi-preliminari-ind-straord-famiglie.pdf>. [4] W. Scheidel, La grande livellatrice. Violenza e disuguaglianza dalla preistoria a oggi, il Mulino, Bologna, 2019. [5] A titolo di esempio, oltre ai documenti già citati, si vedano: E. Viviano, Alcune stime preliminari degli effetti delle misure di sostegno sul mercato del lavoro, «Note Covid‑19», 16 novembre 2020, Banca d’Italia, <https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/note-covid-19/2020/Nota-Covid-19.11.2020.pdf>; Research Institute Credit Suisse, Global wealth report 2020, ottobre 2020, Credit Suisse, < https://www.credit-suisse.com/media/assets/ corporate/docs/about-us/research/publications/global-wealth-report-2020-en.pdff>; Research Institute Credit Suisse, What will last? The long-term implications of COVID‑19, dicembre 2020, Credit Suisse, <https://www.credit-suisse.com/media/assets/corporate/docs/about-us/research/publications/the-long-term-implications-of-covid‑19.pdf>; per un compendio statistico si veda: https://ec.europa.eu/eurostat/cache/recovery-dashboard/. [6] OCSE, Learning remotely when schools close. How well are students and schools prepared? Insights from PISA, 3 aprile 2020, OCSE, <https://read.oecd-ilibrary.org/view/?ref=127_127063-iiwm328658&title=Learning-remotely-when-schools-close>. [7] J.D. Orton‑K.E. Weick, Loosely Coupled Systems. A Reconceptualization, «The Academy of Management Review», 15 (2), pp. 203-23. [8] O. Giancola‑L. Piromalli, Apprendimenti a distanza a più velocità. L’impatto del COVID‑19 sul sistema educativo italiano, «Scuola democratica/early access», 16/06/2020, il Mulino, p. 3. [9] J. Van Dijck‑T. Poell‑M. De Waal, Platform society. Valori pubblici e società connessa, Milano, Guerini Scientifica, 2019. [10] Google lancia la laurea di 6 mesi: è sfida alle università, «Corriere della Sera. Tecnologia», 25 agosto 2020, <https://www.corriere.it/tecnologia/20_agosto_25/google-lancia-laurea-6-mesi-sfida-universita-a08174a4-e6bf-11ea-9502-8f5d7befe48e.shtml>. [11] P. Landri, Per amore o per forza? Digitale per scelta, Osservatorio sulle povertà educative – Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, <https://fondazionefeltrinelli.it/per-amore-o-per-forza-digitale-per-scelta/>. [12] F. Ferretti‑A. Del Zozzo‑G. Santi, La didattica della matematica a distanza ai tempi del COVID‑19 e la sua interazione con l’identità docente, «Annali online della Didattica e della Formazione Docente», vol. 12, n. 20 (2020), pp. 84‑108. [13] D. Di Palma‑P. Belfiore, Tecnologia e innovazione didattica nella scuola ai tempi del covid-19: un’indagine valutativa dell’efficacia didattica nella prospettiva dello studente, «Formazione&Insegnamento», v. 18, n. 2 (2020), pp. 169‑179. [14] Ivi, p. 176. [15] L. Perla‑E. Felisatti‑V. Grion‑L.S. Agrati‑R. Gallelli‑V. Vinci‑ I. Amati‑R. Bonelli,Oltre l’era Covid-19: dall’emergenza alle prospettive di sviluppo professionale, «Excellence and Innovation in Learning and Teaching - Open Access», v. 5, n. 2, nov. 2020, pp. 18‑37.

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